Il disordine climatico-ambientale dell’Anno 1779

Risposte dal passato per il presente: i disastri climatici e le calamità naturali del XVIII secolo in Italia.

Per conoscere e prevenire i dissesti idrogeologici del presente si rende necessaria la conoscenza non solo degli eventi disastrosi del passato dovuti ai disordini climatici, ma anche del continuum di eventi minori, che si manifestano con le stesse dinamiche e causano danni all’ambiente, all’economia e alla salute. Consultando l’enorme patrimonio documentale archivistico e librario potremo dare risposte attendibili agli eventi climatici del nostro tempo. Nel XVIII secolo, il carattere estremo e la grande variabilità climatica si manifestarono insieme a terremoti, esplosioni vulcaniche, incendi, epidemie e ad altre calamità naturali. In particolar modo, in Italia, l’inverno tra il 1778 e il 1779 diede inizio a uno degli anni tra i più terribili dal punto di vista climatico-ambientale.

Un viaggio nel tempo: ricostruire gli eventi climatico-ambientali del passato per comprendere il presente.

Per la comprensione dei grandi eventi idrogeologici del presente è di fondamentale importanza la ricostruzione storica degli episodi passati attraverso le abbondanti informazioni documentarie conservate negli archivi storici locali, al fine di evidenziare sia gli effetti patiti dai luoghi dove avvengono, sia i fattori influenti del sistema globale. Documenti ufficiali, corrispondenze tra privati, memorie, studi tecnici e riti religiosi con cui si chiede l’intermediazione di tutti i santi affinché piova, o perché si fermi il diluvio o altra calamità in atto, forniscono eccellenti insiemi di dati storico-ambientali di consistenza statistica sul disordine climatico dei secoli passati.

Apprendiamo così che la coesistenza di siccità e inondazioni nel bacino mediterraneo è un fenomeno storicamente noto. Il disordine nelle stagioni è testimoniato dall’enorme patrimonio documentale archivistico e librario, che conferma, già nei secoli scorsi, l’alternanza di periodi di siccità e periodi con qualità opposta, ovvero caratterizzati da piogge alluvionali, spesso accompagnate da inondazioni di fiumi e torrenti, frequentemente di tali intensità da interrompere tragicamente la vita e le attività degli uomini, distruggere raccolti, infrastrutture e interi villaggi.

In Italia, nei secoli XVII e XVIII, lo scambio di informazioni tra gli studiosi del tempo per spiegare i fenomeni climatici favorisce la discussione e il confronto tra fisici, astronomi, naturalisti e medici dando spazio a teorie e tesi, che vengono rese pubbliche grazie anche alla divulgazione della stampa, in un mondo che, anche se non vuole abbandonare superstizioni e credenze popolari, è ormai largamente dominato dal pensiero scientifico. Lo studio dei fenomeni naturali è basato essenzialmente sull’osservazione diretta e/o sulla ricerca storica utile a reperire dati in maniera rigorosa, a classificare ed analizzare. Certamente, non tutti i periodi di siccità sono stati riportati nella storia e, quindi, non tutti sono pervenuti ai posteri.

Una regola nella ricerca storico-ambientale per individuare i periodi di siccità: seguire gli anni piovosi.

Allo stesso tempo, gli eventi climatici estremi più distruttivi, generalmente, mettono in ombra nelle notizie di cronaca tutti gli altri eventi minori, seppur devastanti, fino addirittura ad eliminarne la memoria. In ogni caso, come sostiene nel Giornale per l’anno 1780, l’astronomo e meteorologo italiano, accademico di Padova, Giuseppe Toaldo, seguire gli anni piovosi può servire come regola nella ricerca storico-ambientale per individuare i periodi di siccità, e viceversa, poiché “dalle lunghe pioggie non vanno lontani i lunghi asciutti, benché talora non riferiti” (Ragionamento sopra la lunga siccità dell’Inverno 1779). Una sua particolare considerazione sul carattere “eccezionale” dell’inverno del 1779 denota l’atteggiamento dei contemporanei rispetto alle variazioni climatiche per nulla diverso da quello delle attuali generazioni: “è ben vero che questo fu un lungo asciutto, ma siamo soliti ad esagerare le cose presenti, per poco che si scostino dall’ordinario, anzi senza di questo ad ogni momento si ode gli uomini a dolersi; gran caldo, gran freddo, ec. Abbiate dunque, Signori, che stravaganze molto maggiori, come in ogni genere, così in questo dell’asciutto, occorsero nelle generazioni passate.”

La lunga e rigorosa catalogazione di eventi climatici estremi di Giuseppe Toaldo.

Attraverso la lunga e rigorosa catalogazione di eventi climatici estremi del Toaldo, apprendiamo che nel 1137 una terribile siccità accadde in Francia, tanto che pozzi e fontane si seccarono. I periodi di siccità possono durare mesi ma anche anni. Per gli anni 1159 e 1160, il Sigonio riferisce (de Regno Italiae, lib. 12) che dall’inizio di maggio fino alla fine di aprile dell’anno seguente, cioè per un anno, in tutta Italia non piovve mai. Talvolta la stagione, secca o umida, calda o fredda, domina per un determinato numero di anni, come avvenne per gli anni siccitosi 1472, 1473, 1474 in diversi paesi d’Europa, in particolare in Olanda e Francia, accompagnati da un caldo insopportabile.

Anche nel 1477 un lungo periodo di siccità portò fame e malattie. La cronaca riporta spesso di incendi accaduti nei lunghi periodi di siccità, come quelli degli anni 1472 e 1137. Nel 1473, sempre il Toaldo scrive che “tanto aridi erano i boschi, che pigliarono fuoco spontaneamente, e questo secco è famoso in tutte le Storie.” Nelle “Costituzioni epidemiche Modenesi”, il Ramazzini scrive che da novembre dell’anno 1690 fino a gennaio del 1691 non piovve e il clima fu estremamente caldo, ma alla fine del mese di gennaio, con il vento di Tramontana arrivò il freddo intenso. Dopo brevi piogge, la primavera fu calda come l’estate e l’estate successiva fu ardente: “non potevano gli uomini, e gli animali più vivere, e molti spezialmente i cani andavano in rabbia; ed una Coorte di altre malattie infestò il popolo; e questo secco, e questo caldo durò sino all’Equinozio di Autunno”. Peggio fu il 1694, 3 anni dopo: da gennaio, tutto l’inverno trascorse senza una goccia d’acqua. Seguirono poche piogge e il caldo estivo durò da aprile per il resto della primavera. Tutta l’estate seguente il caldo divenne intollerabile, fino all’autunno che seguì andamento simile in termini di siccità.

Il XVIII secolo: disordine climatico, terremoti, esplosioni vulcaniche, incendi, epidemie.

In particolar modo, nel XVIII secolo, il carattere estremo e la grande variabilità climatica si manifestarono insieme a terremoti, esplosioni vulcaniche, incendi, epidemie e ad altre calamità naturali. Periodi molto freddi si alternarono ad altri di grande caldo, ricorrendo la contemporaneità di eventi idrogeologici a carattere estremo con altri a impronta opposta. In Friuli diverse furono le inondazioni causate dai fiumi, in particolare dal Tagliamento. La Campania fu flagellata dall’eruzioni del Vesuvio, da alluvioni e colate rapide di fango.

Lo storico Girolamo Ferrari (Notizie Storiche della Lega, 1723) annota per l’anno 1718:“I Posteri dureranno fatica a credere che sieno scorsi novo mesi senza cadere stilla di pioggia, si può dire in tutta l’Europa […]. Seccati i fonti, i ruscelli, ed i minori canali, cercarono gli abitanti l’acqua per molte miglia ne’ fiumi più grossi; ed è accaduto che molti animali bevendo con ingordigia creparono sul luogo; […]”. E nel mese di luglio, nel padovano, “dall’eccessivo ardore dell’aere”, le canne e ogni altro cespuglio presero fuoco. Nell’anno 1755 si soffrì di un’altra grave siccità e il freddo fu così inteso che la laguna di Venezia gelò due volte, annota il Toaldo.

Ma l’inverno tra il 1778 e il 1779 diede inizio a uno degli anni tra i più terribili dal punto di vista climatico-ambientale, in particolare per l’Italia, in cui le diverse calamità naturali si susseguirono e, in determinati luoghi si manifestarono quasi contemporaneamente, sovrapponendo tutto il loro carico di effetti e devastazioni amplificando la loro potenza

L’inverno del 1778-1779: Un anno di calamità climatiche e ambientali senza precedenti che colpì l’Italia e l’Europa.

Sul finire dell’anno 1778, iniziò una lunga siccità per l’Europa intera che si prolungò fino alla primavera del 1779. Insieme alla siccità, il freddo gelido fu paragonabile a quello accaduto nel 1755 e la pressione barometrica si mantenne costantemente elevata molto al di sopra della media altezza, il cielo quasi sempre sereno e la temperatura dell’aria fu molto dolce. Nelle “Memorie e studi idrografici” del Servizio Idrografico, 1923 (Biennio 1921-1922, Volume 2, Ministero dei Lavori Pubblici, Roma, Tipografia del Senato), si legge che dalla metà di dicembre 1778 al mese di maggio 1779 a Milano vi fu una siccità straordinaria (solo 17.5mm di pioggia a fronte dei soliti 353,9mm che cadevano nello stesso intervallo di tempo) mentre a Livorno non cadde una goccia di pioggia. Le paludi a levante e a ponente del fiume di Camaiore, in vicinanze del mare furono disseccate. Sulle coste della Toscana e nel Porto di Genova fu osservato un notevole abbassamento del mare.

Nel Lazio la siccità si estese dai primi di gennaio ai primi di giugno (secondo Toaldo, in realtà, fino a dieci mesi senza pioggia significativa), tanto che nel “Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri giorni” del 1855 (Volume 74), Gaetano Moroni scrive che la grandissima siccità aveva addirittura facilitato in modo singolare i lavori di prosciugamento delle Paludi Pontine e questo fu segno che il Cielo evidentemente favorisse sin dall’inizio la grandiosa impresa di Pio VI.

Nel Parmense la siccità durò quattro mesi, durante i quali i torrenti furono quasi asciutti. “I maggiori fiumi, non che i piccioli ruscelli, ed i fonti, erano così magri d’acqua, che il Pò nel Piemonte, l’Elba in Sassonia, si poteano guadare a cavallo, […] secchi quasi tutti i canali di Venezia”, registra il Toaldo.

Con la siccità sopraggiungono gli incendi e le epidemie.

Il fenomeno fu ovunque in Italia e si temeva una carestia generale, mentre i disastri si moltiplicavano. Con la siccità sopraggiungono gli incendi spontanei e nell’inverno del 1779 ardono lunghi tratti di bosco nei Colli Euganei. Non mancò l’inondazione del Tagliamento, che a Latisana fu disastrosa. Inoltre, da giugno a settembre del 1779 vi furono terribili terremoti a Bologna, afflitta da eventi simili nel 1505, anno in cui si soffrì analoga grande siccità. A Napoli, Portici, Sorrento e Massa, nei mesi di settembre, ottobre e dicembre vi furono scosse di terremoto con molte abitazioni lesionate (Intorno ai mezzi usati dagli antichi per attenuare le disastrose conseguenze dei terremoti, Antonio Favaro, Venezia, 1874).

Il caldo e la siccità prolungata danno luogo ad epidemie e il Cotugno scrive che sul finire dell’anno e dell’incendio del Vesuvio comparvero assai febbri nervinae rheumaticae (Annali delle epidemie occorse in Italia dalle prime memorie fino al 1850, Alfonso Corradi, Parte IV, Dispensa I, Bologna, 1876).

Gaetano DE BOTTIS, “Ragionamento istorico intorno all’eruzione del Vesuvio che cominciò il dì 29 luglio dell’anno 1779 e continuò fino al giorno 15 del seguente mese di agosto, Napoli, Stamperia Reale, 1779”, Tavola II. Incisione su rame. Disegnatore: Pietro FABRIS. Incisore: Francesco GIOMIGNANI.
L’eruzione del Vesuvio del 1779: Un evento climatico-ambientale di impatto devastante e i suoi effetti sulla storia e l’osservazione scientifica.

Nella estate del 1779, infatti, il giorno 29 di luglio, era iniziata anche una violenta eruzione del Vesuvio che continuò fino al 15 di agosto: “per le pietre infuocate, per la rena, per le pomici, e per la cenere, che caddero nelle montagne di Ottajanno, Somma e nelle contigue campagne, ed in quelle della terra di Palma, della Città di Nola, e luoghi vicini ne’ giorni 8, e 11 di Agosto lì restarono gli alberi di diversa specie in tal modo offesi, che comparvero indi, come osservar soglionsi nel cuor dell’inverno; e l’erbe tutte, e le altre tenere piante rimasero parimenti abbattute; ma indi poi dopo pochi giorni gli alberi tornarono verdi e le viti, i peri, i meli, i prugni, i mandorli, ed altri alberi rinverdirono, gemmarono, germogliarono, e in fine fruttarono di nuovo negli offesi campi. Dal mezzo delle pomici sursero delle erbe e delle piante, alcune delle quali fiorirono.” Così racconta il De Bottis, nel “Ragionamento istorico intorno all’eruzione del Vesuvio nel 1779”, inconsapevole che sul finire del secolo il vulcano avrebbe lasciato il segno indelebile di uno dei più devastanti eventi della sua storia eruttiva, l’eruzione del 1794.

Gli effetti diretti o indiretti delle eruzioni sulle variazioni climatiche globali e locali non sfuggirono agli studiosi del passato. Giuseppe Toaldo, se anche non vedeva correlazioni, prescindendo dalle influenze reciproche degli eventi, rilevò – e come lui tanti altri osservatori del tempo – che nella storia ambientale, negli anni asciutti sempre, o contemporaneamente, o poco prima, o poco dopo, o tutto insieme, si verificano terremoti ed esplosioni vulcaniche. Bisognerà, però, attendere ancora due secoli affinché nel 1979 gli oceanografi americani Henry e Elizabeth Stommel dimostrino che l’eruzione del vulcano Tambora (1815), accaduta nell’arcipelago indonesiano della Sonda, abbia determinato nell’Europa occidentale l’anomalia climatica del 1816, un anno senza estate. Ma questa è un’altra storia.

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Pubblicato da Elena Amendola

Laureata in Fisica, esperta di analisi statistica, sociologia dell'ambiente e sviluppo informatico. Attualmente Senior Project/Risk Manager nel settore tecnologico.