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Alluvioni a Nola: un viaggio storico tra devastazioni e rinascita attraverso le bonifiche



Introduzione di Michele Buscè
In questo affascinante articolo, Alfredo Franco ripubblica un estratto dell’opera “Nola” del letterato nolano Ambrogio Leone, in cui si racconta la storia della città e la sua lotta contro le devastanti alluvioni che la perseguitarono nel XV secolo. Con uno sguardo attento alla necessità di preservare i suoli e garantire un deflusso sicuro delle acque montanee, Leone ci invita a riflettere sulla forza distruttiva delle inondazioni e sulle soluzioni adottate per contrastarle. Tra le pagine di storia, scopriremo gli sforzi di bonifica intrapresi dalla Corona e dalla comunità locale, che portarono a una riconquista della terra e alla rinascita dell’agricoltura nella piana del Clanio. Un viaggio nel passato che ci mostra come la determinazione umana possa trasformare una calamità in una nuova opportunità di crescita e prosperità.



Le alluvioni a Nola: uno sguardo storico sulle calamità naturali

Sulle pagine del CNSBII si è già affrontato in modo sistematico l’impatto delle alluvioni nell’arco appenninico e subappenninico. L’invito a dare un contributo in merito, partendo da una prospettiva storica, mi dà modo di ripubblicare, rimaneggiato, uno stralcio specifico tratto da una opera più ampia (si veda in bibliografia “Studi Storici Sarnesi 3”).

Il letterato nolano Ambrogio Leone, medico e filosofo, membro dell’Accademia Aldina di Venezia, ormai lontano dalla patria nel primo decennio del Cinquecento stendeva la sua opera Nola. In essa ripercorreva la storia della sua città e anche la sua particolarissima storia naturale. Il sito infatti è stato sempre esposto alle colate di fango che provenivano dalle vicine montagne avellane e, per l’autore rinascimentale, era di fondamentale importanza che gli alvei si mantenessero sgombri dalle terre o altri ostacoli al decorso delle acque, essendo stato sia testimone diretto sia raccoglitore di memorie molto più antiche relative alla forza dirompente dell’alluvione.

I due grossi eventi alluvionali ricordati da Leone colpirono la città campana tra gli anni Venti e Trenta del XV secolo e nel mese di marzo del 1504. Quest’ultimo fu tale da imprimere nella coscienza cittadina un profondo senso di inquietudine se almeno due epigrafi lo ricordarono ammonendo i posteri. Ci resta questa cronaca dettagliata di Notargiacomo:

«Del mese de frebaro dicti anni 1504. sparò una boccha d’acqua sopra la Cità de Nola dove che annegò de multi terreni de Nola, sì anco erano quasi pieni li fossi, puzi et sepulture de Nola; et de dicta acqua se nne beveano et facevano el pane adeo che in li fossi et terreni si ’nce crearo multa quantità de pissi et per dicte cause ’nde morero da sey milia persune; la quale acqua correva dove ne cascaro doy case de Nola»

Alluvioni a Nola: un viaggio storico tra devastazioni e rinascita attraverso le bonifiche
Schematizzazione della conca in cui ricade l’Agro nolano dall’opera Nola di Ambrogio Leone (1514)

Ambedue i testi indugiano sulla necessità di avere accortezza nel far defluire le acque montanee a tutela dei suoli, ricordando come la frana colpì la città entrando da Porta Vicanziana e lasciando dietro di sé una grande quantità di danni. Nell’estate seguente una letale epidemia ridusse la popolazione tanto che fu abbandonata ogni attività e gli abitanti, temendo il contagio, trovarono rifugio o nelle campagne circostanti o sulla collina di Cicala.

I sacerdoti annotarono a meno di un lustro di distanza dall’evento che la zona devastata si estendeva per oltre 500 passi verso il Vesuvio e che perirono circa 8000 persone. La stima della mortalità comprende anche i casali dei dintorni. E anche nella cronachistica cittadina si rinnova l’ammonimento al Lettore mettendolo in guardia dalla calamità: «Quindi salva te stesso e i tuoi cari»!

Per arginare lo sfollamento e contrastare la carestia il capitano attivò altri due mulini. Si cercava di evitare che ulteriori condizioni di contagio potessero propagarsi e di riportare la popolazione all’interno della città. Questo non fu il solo atto concreto da parte della Corona a favore dei nolani: il re Cattolico infatti nel 1507 rinnovò alla città e ai singoli cittadini tutti i privilegi commerciali già concessi dai re Aragonesi ed ulteriori sgravi furono concessi.

Bonifiche e risanamento ambientale: la lotta contro le inondazioni nella storia di Nola

In effetti lo strumento dello sgravio fiscale era l’unico e più immediato mezzo di sussidio nelle mani del re a favore delle popolazioni disagiate, essendo impensabili per la gravità dei tempi nuovi lavori di risistemazione degli alvei attorno alla città. Questa manutenzione fu in gran parte proseguita dai privati e, solo a fine secolo, condotta in modo concreto e sistematico non soltanto in prossimità delle mura nolane ma in tutta la piana del Clanio. Il progetto di risanamento ambientale dell’area, attuato in varie riprese tra il 1539 ed il 1561, subì diverse battute d’arresto a causa della scarsità di mezzi a disposizione.

Dopo oltre un trentennio i lavori furono riavviati con più metodo dal viceré Pedro Fernandez de Castro, conte di Lemos, che diede incarico all’architetto Domenico Fontana il quale vi operò ininterrottamente dal 1592 al 1604. I lavori di riconquista all’ agricoltura e all’insediamento stabile della grande fascia di territorio tra Nola e il Lago Patria fu condotta stavolta con decisione e con un programma organico di sovvenzionamenti. Non si trattò di una semplice ripulitura e di un mantenimento dell’alveo nella sua sede naturale, ma di una vera e propria opera di ricanalizzazione del percorso fluviale da sinuoso a rettilineo. Non fu però questo il solo accorgimento del direttore dell’opera di bonifica, perché lungo tutto il tracciato fu praticato uno scavo a sezione obbligata ben più profondo rispetto a quello naturale (8 palmi circa 2 m rispetto ai 5 palmi circa 1,25 m precedenti). Accanto a questo canale principale furono previsti altri canali alveolari il cui scopo era quello di impedire che i flutti del Clanio trovando la foce presso il Lago Patria ostruita dalle reti e dalle nasse dei pescatori potessero tornare indietro ed impaludare nuovamente tutta l’area. Questi due canali originavano rispettivamente dalla Gorgone e dall’area a nord di Acerra, congiungendosi poi al corso principale dove il fiume aveva una portata maggiore ed un letto idoneo a riceverne l’apporto. La riuscita del progetto fu dovuta al fatto di aver privato di forza la corrente a monte di Acerra e di aver impiegato squadre specializzate di manovali campani. Il figlio di Domenico Fontana, Giulio Cesare, completò il progetto paterno con successo.

Una prammatica del 1615, allo scopo di mantenere duraturi i brillanti risultati raggiunti, vietò l’industria della canapa e del lino nel fiume, inaugurando così una lunga stagione secentesca di manutenzioni ordinarie e straordinarie che si esaurì a metà del XVIII secolo, quando ormai l’intera pianura era stata completamente riconquistata.

Alluvioni a Nola: un viaggio storico tra devastazioni e rinascita attraverso le bonifiche
Veduta dell’opera dei regi Lagni (A. Baratta, Campaniae Felicis Typus, in G. Barrionuevo, Panegyricus Ill.mo et Ex.mo D.no Petro Fernandez a Castro etc., Neapoli 1616).

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Elena Amendola, Il disordine climatico-ambientale dell’Anno 1779
Giuseppe Fiengo, I Regi Lagni e la bonifica della Campania felix durante il viceregno spagnolo, Firenze 1988.

Ambrogio Leone, Nola, a cura di Ruggiero A., Napoli 1997.
Cronica di Napoli di Notar Giacomo, a cura di P. Garzilli, Napoli 1845.
Giuseppe Martini, Nola nel secondo Quattrocento, in Algorismus nolanus, Milano 1972
Alfredo Franco, Regime delle acque e organizzazione del territorio nell’Italia medievale (“Studi Storici Sarnesi 3”), Torre del Greco 2021.

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Il disordine climatico-ambientale dell’Anno 1779



Risposte dal passato per il presente: i disastri climatici e le calamità naturali del XVIII secolo in Italia.

Per conoscere e prevenire i dissesti idrogeologici del presente si rende necessaria la conoscenza non solo degli eventi disastrosi del passato dovuti ai disordini climatici, ma anche del continuum di eventi minori, che si manifestano con le stesse dinamiche e causano danni all’ambiente, all’economia e alla salute. Consultando l’enorme patrimonio documentale archivistico e librario potremo dare risposte attendibili agli eventi climatici del nostro tempo. Nel XVIII secolo, il carattere estremo e la grande variabilità climatica si manifestarono insieme a terremoti, esplosioni vulcaniche, incendi, epidemie e ad altre calamità naturali. In particolar modo, in Italia, l’inverno tra il 1778 e il 1779 diede inizio a uno degli anni tra i più terribili dal punto di vista climatico-ambientale.

Un viaggio nel tempo: ricostruire gli eventi climatico-ambientali del passato per comprendere il presente.

Per la comprensione dei grandi eventi idrogeologici del presente è di fondamentale importanza la ricostruzione storica degli episodi passati attraverso le abbondanti informazioni documentarie conservate negli archivi storici locali, al fine di evidenziare sia gli effetti patiti dai luoghi dove avvengono, sia i fattori influenti del sistema globale. Documenti ufficiali, corrispondenze tra privati, memorie, studi tecnici e riti religiosi con cui si chiede l’intermediazione di tutti i santi affinché piova, o perché si fermi il diluvio o altra calamità in atto, forniscono eccellenti insiemi di dati storico-ambientali di consistenza statistica sul disordine climatico dei secoli passati.

Apprendiamo così che la coesistenza di siccità e inondazioni nel bacino mediterraneo è un fenomeno storicamente noto. Il disordine nelle stagioni è testimoniato dall’enorme patrimonio documentale archivistico e librario, che conferma, già nei secoli scorsi, l’alternanza di periodi di siccità e periodi con qualità opposta, ovvero caratterizzati da piogge alluvionali, spesso accompagnate da inondazioni di fiumi e torrenti, frequentemente di tali intensità da interrompere tragicamente la vita e le attività degli uomini, distruggere raccolti, infrastrutture e interi villaggi.

In Italia, nei secoli XVII e XVIII, lo scambio di informazioni tra gli studiosi del tempo per spiegare i fenomeni climatici favorisce la discussione e il confronto tra fisici, astronomi, naturalisti e medici dando spazio a teorie e tesi, che vengono rese pubbliche grazie anche alla divulgazione della stampa, in un mondo che, anche se non vuole abbandonare superstizioni e credenze popolari, è ormai largamente dominato dal pensiero scientifico. Lo studio dei fenomeni naturali è basato essenzialmente sull’osservazione diretta e/o sulla ricerca storica utile a reperire dati in maniera rigorosa, a classificare ed analizzare. Certamente, non tutti i periodi di siccità sono stati riportati nella storia e, quindi, non tutti sono pervenuti ai posteri.

Descrizione immagine: Completa raccolta di opuscoli, osservazioni e notizie contenute nei giornali astrometeorologici dall’anno 1773 sino all’anno 1798 coll’aggiunta di alcune altre sue produzioni meteorologiche e publicate ed inedite
Volume 2
, Giuseppe Toaldo.
Una regola nella ricerca storico-ambientale per individuare i periodi di siccità: seguire gli anni piovosi.

Allo stesso tempo, gli eventi climatici estremi più distruttivi, generalmente, mettono in ombra nelle notizie di cronaca tutti gli altri eventi minori, seppur devastanti, fino addirittura ad eliminarne la memoria. In ogni caso, come sostiene nel Giornale per l’anno 1780, l’astronomo e meteorologo italiano, accademico di Padova, Giuseppe Toaldo, seguire gli anni piovosi può servire come regola nella ricerca storico-ambientale per individuare i periodi di siccità, e viceversa, poiché “dalle lunghe pioggie non vanno lontani i lunghi asciutti, benché talora non riferiti” (Ragionamento sopra la lunga siccità dell’Inverno 1779). Una sua particolare considerazione sul carattere “eccezionale” dell’inverno del 1779 denota l’atteggiamento dei contemporanei rispetto alle variazioni climatiche per nulla diverso da quello delle attuali generazioni: “è ben vero che questo fu un lungo asciutto, ma siamo soliti ad esagerare le cose presenti, per poco che si scostino dall’ordinario, anzi senza di questo ad ogni momento si ode gli uomini a dolersi; gran caldo, gran freddo, ec. Abbiate dunque, Signori, che stravaganze molto maggiori, come in ogni genere, così in questo dell’asciutto, occorsero nelle generazioni passate.”

Descrizione immagine: “Cronaca de’ lunghi asciutti, e di Fenomeni analoghi” – G. Toaldo, Giornale per l’anno 1780
La lunga e rigorosa catalogazione di eventi climatici estremi di Giuseppe Toaldo.

Attraverso la lunga e rigorosa catalogazione di eventi climatici estremi del Toaldo, apprendiamo che nel 1137 una terribile siccità accadde in Francia, tanto che pozzi e fontane si seccarono. I periodi di siccità possono durare mesi ma anche anni. Per gli anni 1159 e 1160, il Sigonio riferisce (de Regno Italiae, lib. 12) che dall’inizio di maggio fino alla fine di aprile dell’anno seguente, cioè per un anno, in tutta Italia non piovve mai. Talvolta la stagione, secca o umida, calda o fredda, domina per un determinato numero di anni, come avvenne per gli anni siccitosi 1472, 1473, 1474 in diversi paesi d’Europa, in particolare in Olanda e Francia, accompagnati da un caldo insopportabile.

Anche nel 1477 un lungo periodo di siccità portò fame e malattie. La cronaca riporta spesso di incendi accaduti nei lunghi periodi di siccità, come quelli degli anni 1472 e 1137. Nel 1473, sempre il Toaldo scrive che “tanto aridi erano i boschi, che pigliarono fuoco spontaneamente, e questo secco è famoso in tutte le Storie.” Nelle “Costituzioni epidemiche Modenesi”, il Ramazzini scrive che da novembre dell’anno 1690 fino a gennaio del 1691 non piovve e il clima fu estremamente caldo, ma alla fine del mese di gennaio, con il vento di Tramontana arrivò il freddo intenso. Dopo brevi piogge, la primavera fu calda come l’estate e l’estate successiva fu ardente: “non potevano gli uomini, e gli animali più vivere, e molti spezialmente i cani andavano in rabbia; ed una Coorte di altre malattie infestò il popolo; e questo secco, e questo caldo durò sino all’Equinozio di Autunno”. Peggio fu il 1694, 3 anni dopo: da gennaio, tutto l’inverno trascorse senza una goccia d’acqua. Seguirono poche piogge e il caldo estivo durò da aprile per il resto della primavera. Tutta l’estate seguente il caldo divenne intollerabile, fino all’autunno che seguì andamento simile in termini di siccità.

Il XVIII secolo: disordine climatico, terremoti, esplosioni vulcaniche, incendi, epidemie.

In particolar modo, nel XVIII secolo, il carattere estremo e la grande variabilità climatica si manifestarono insieme a terremoti, esplosioni vulcaniche, incendi, epidemie e ad altre calamità naturali. Periodi molto freddi si alternarono ad altri di grande caldo, ricorrendo la contemporaneità di eventi idrogeologici a carattere estremo con altri a impronta opposta. In Friuli diverse furono le inondazioni causate dai fiumi, in particolare dal Tagliamento. La Campania fu flagellata dall’eruzioni del Vesuvio, da alluvioni e colate rapide di fango.

Lo storico Girolamo Ferrari (Notizie Storiche della Lega, 1723) annota per l’anno 1718:“I Posteri dureranno fatica a credere che sieno scorsi novo mesi senza cadere stilla di pioggia, si può dire in tutta l’Europa […]. Seccati i fonti, i ruscelli, ed i minori canali, cercarono gli abitanti l’acqua per molte miglia ne’ fiumi più grossi; ed è accaduto che molti animali bevendo con ingordigia creparono sul luogo; […]”. E nel mese di luglio, nel padovano, “dall’eccessivo ardore dell’aere”, le canne e ogni altro cespuglio presero fuoco. Nell’anno 1755 si soffrì di un’altra grave siccità e il freddo fu così inteso che la laguna di Venezia gelò due volte, annota il Toaldo.

Ma l’inverno tra il 1778 e il 1779 diede inizio a uno degli anni tra i più terribili dal punto di vista climatico-ambientale, in particolare per l’Italia, in cui le diverse calamità naturali si susseguirono e, in determinati luoghi si manifestarono quasi contemporaneamente, sovrapponendo tutto il loro carico di effetti e devastazioni amplificando la loro potenza

L’inverno del 1778-1779: Un anno di calamità climatiche e ambientali senza precedenti che colpì l’Italia e l’Europa.

Sul finire dell’anno 1778, iniziò una lunga siccità per l’Europa intera che si prolungò fino alla primavera del 1779. Insieme alla siccità, il freddo gelido fu paragonabile a quello accaduto nel 1755 e la pressione barometrica si mantenne costantemente elevata molto al di sopra della media altezza, il cielo quasi sempre sereno e la temperatura dell’aria fu molto dolce. Nelle “Memorie e studi idrografici” del Servizio Idrografico, 1923 (Biennio 1921-1922, Volume 2, Ministero dei Lavori Pubblici, Roma, Tipografia del Senato), si legge che dalla metà di dicembre 1778 al mese di maggio 1779 a Milano vi fu una siccità straordinaria (solo 17.5mm di pioggia a fronte dei soliti 353,9mm che cadevano nello stesso intervallo di tempo) mentre a Livorno non cadde una goccia di pioggia. Le paludi a levante e a ponente del fiume di Camaiore, in vicinanze del mare furono disseccate. Sulle coste della Toscana e nel Porto di Genova fu osservato un notevole abbassamento del mare.

Nel Lazio la siccità si estese dai primi di gennaio ai primi di giugno (secondo Toaldo, in realtà, fino a dieci mesi senza pioggia significativa), tanto che nel “Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri giorni” del 1855 (Volume 74), Gaetano Moroni scrive che la grandissima siccità aveva addirittura facilitato in modo singolare i lavori di prosciugamento delle Paludi Pontine e questo fu segno che il Cielo evidentemente favorisse sin dall’inizio la grandiosa impresa di Pio VI.

Nel Parmense la siccità durò quattro mesi, durante i quali i torrenti furono quasi asciutti. “I maggiori fiumi, non che i piccioli ruscelli, ed i fonti, erano così magri d’acqua, che il Pò nel Piemonte, l’Elba in Sassonia, si poteano guadare a cavallo, […] secchi quasi tutti i canali di Venezia”, registra il Toaldo.

Con la siccità sopraggiungono gli incendi e le epidemie.

Il fenomeno fu ovunque in Italia e si temeva una carestia generale, mentre i disastri si moltiplicavano. Con la siccità sopraggiungono gli incendi spontanei e nell’inverno del 1779 ardono lunghi tratti di bosco nei Colli Euganei. Non mancò l’inondazione del Tagliamento, che a Latisana fu disastrosa. Inoltre, da giugno a settembre del 1779 vi furono terribili terremoti a Bologna, afflitta da eventi simili nel 1505, anno in cui si soffrì analoga grande siccità. A Napoli, Portici, Sorrento e Massa, nei mesi di settembre, ottobre e dicembre vi furono scosse di terremoto con molte abitazioni lesionate (Intorno ai mezzi usati dagli antichi per attenuare le disastrose conseguenze dei terremoti, Antonio Favaro, Venezia, 1874).

Il caldo e la siccità prolungata danno luogo ad epidemie e il Cotugno scrive che sul finire dell’anno e dell’incendio del Vesuvio comparvero assai febbri nervinae rheumaticae (Annali delle epidemie occorse in Italia dalle prime memorie fino al 1850, Alfonso Corradi, Parte IV, Dispensa I, Bologna, 1876).

Gaetano DE BOTTIS, “Ragionamento istorico intorno all’eruzione del Vesuvio che cominciò il dì 29 luglio dell’anno 1779 e continuò fino al giorno 15 del seguente mese di agosto, Napoli, Stamperia Reale, 1779”, Tavola II. Incisione su rame. Disegnatore: Pietro FABRIS. Incisore: Francesco GIOMIGNANI.
L’eruzione del Vesuvio del 1779: Un evento climatico-ambientale di impatto devastante e i suoi effetti sulla storia e l’osservazione scientifica.

Nella estate del 1779, infatti, il giorno 29 di luglio, era iniziata anche una violenta eruzione del Vesuvio che continuò fino al 15 di agosto: “per le pietre infuocate, per la rena, per le pomici, e per la cenere, che caddero nelle montagne di Ottajanno, Somma e nelle contigue campagne, ed in quelle della terra di Palma, della Città di Nola, e luoghi vicini ne’ giorni 8, e 11 di Agosto lì restarono gli alberi di diversa specie in tal modo offesi, che comparvero indi, come osservar soglionsi nel cuor dell’inverno; e l’erbe tutte, e le altre tenere piante rimasero parimenti abbattute; ma indi poi dopo pochi giorni gli alberi tornarono verdi e le viti, i peri, i meli, i prugni, i mandorli, ed altri alberi rinverdirono, gemmarono, germogliarono, e in fine fruttarono di nuovo negli offesi campi. Dal mezzo delle pomici sursero delle erbe e delle piante, alcune delle quali fiorirono.” Così racconta il De Bottis, nel “Ragionamento istorico intorno all’eruzione del Vesuvio nel 1779”, inconsapevole che sul finire del secolo il vulcano avrebbe lasciato il segno indelebile di uno dei più devastanti eventi della sua storia eruttiva, l’eruzione del 1794.

Descrizione immagine: Gaetano DE BOTTIS, “Ragionamento istorico intorno all’eruzione del Vesuvio che cominciò il dì 29 luglio dell’anno 1779 e continuò fino al giorno 15 del seguente mese di agosto, Napoli, Stamperia Reale, 1779”

Gli effetti diretti o indiretti delle eruzioni sulle variazioni climatiche globali e locali non sfuggirono agli studiosi del passato. Giuseppe Toaldo, se anche non vedeva correlazioni, prescindendo dalle influenze reciproche degli eventi, rilevò – e come lui tanti altri osservatori del tempo – che nella storia ambientale, negli anni asciutti sempre, o contemporaneamente, o poco prima, o poco dopo, o tutto insieme, si verificano terremoti ed esplosioni vulcaniche. Bisognerà, però, attendere ancora due secoli affinché nel 1979 gli oceanografi americani Henry e Elizabeth Stommel dimostrino che l’eruzione del vulcano Tambora (1815), accaduta nell’arcipelago indonesiano della Sonda, abbia determinato nell’Europa occidentale l’anomalia climatica del 1816, un anno senza estate. Ma questa è un’altra storia.




Solofra. Copertura dell’impianto di depurazione: priorità e perplessità

Pubblicazione di Michele Buscè. (2023). 
Solofra. Copertura dell’impianto di depurazione priorità e perplessità (Versione 1). 
Zenodo. 10.5281/zenodo.7988087


Il 30 maggio 2023, il CNSBII ha pubblicato un articolo riguardante l’avvio dei lavori di copertura dell’impianto di depurazione delle acque nel depuratore di Solofra, situato nel Bacino Idrografico del Fiume Sarno. Nonostante la copertura degli impianti di depurazione sia una pratica comune in Campania e in tutta Italia, ad eccezione di alcuni impianti, il CNSBII nutre delle perplessità riguardo alla priorità dei lavori, poiché ritiene che sia più importante concentrarsi sul miglioramento dell’efficienza del sistema di depurazione dell’impianto di Solofra nel corso degli anni.

Nel nostro studio, abbiamo voluto mettere in luce alcuni aspetti che raramente vengono approfonditi in Italia. La depurazione delle acque è un argomento complesso e poco conosciuto, rendendo difficile reperire informazioni tecniche e spiegarle in modo semplice per i lettori. Questa pubblicazione si rivolge a cittadini comuni, operatori nel settore della depurazione delle acque, forze dell’ordine che si occupano della tutela ambientale e operatori politici. Il nostro obiettivo è attirare l’attenzione su un argomento difficile, che ha causato danni ambientali, alla salute dei cittadini e della fauna, all’immagine e che ha dimostrato come la politica dei vari politici che si sono succeduti negli ultimi quarant’anni non sia stata in grado di rispondere prontamente alle persone che hanno respirato sostanze tossiche per anni, bevuto acqua contaminata dal tetracloroetilene e persino perso delle vite a causa di ciò.

La nostra pubblicazione ha l’unico scopo di far comprendere se sia necessario coprire l’impianto di depurazione delle acque prima di intervenire prioritariamente sul sistema di depurazione, che attualmente presenta gravi carenze. Inoltre, con la copertura dell’impianto di depurazione di Solofra, i rischi legati alle anomalie negli afflussi di reflui che compromettono il processo di depurazione delle acque nel depuratore di Mercato San Severino rimangono invariati. Infatti, i depuratori di Solofra e Mercato San Severino sono strettamente collegati, poiché il processo di depurazione avviato a Solofra deve essere completato nel depuratore di Mercato San Severino.

Appare preoccupante il fatto che il dato non tenga conto della necessità di adeguamenti normativi che promuovano la protezione delle acque fluviali, marine e dell’intero ecosistema idrico. Prima di tutto, è fondamentale richiedere gli adeguamenti per preservare gli ecosistemi acquatici fluviali e marini. Nel corso degli anni, il torrente Solofrana, che funge da principale canale di scarico per i depuratori di Solofra e Mercato San Severino, è stato completamente cementato, portando all’eliminazione della biodiversità acquatica e all’interruzione dei flussi naturali a causa della costruzione di salti di quota artificiali. Pesci, anfibi e rettili non sono più in grado di spostarsi autonomamente lungo il corso d’acqua, vivere e riprodursi senza problemi in acque pulite. Pertanto, la messa a norma degli impianti di depurazione deve considerare come priorità assoluta la salvaguardia degli ecosistemi acquatici fluviali e marini, nonché degli ecosistemi circostanti gli impianti stessi, oltre alla tutela dell’aria e alla forte riduzione dell’impatto ambientale derivante dagli impianti di depurazione.


Rischi e considerazioni nella copertura di un impianto di depurazione delle acque reflue

Introduzione:
L’impianto di depurazione delle acque reflue svolge un ruolo fondamentale nel trattamento e nella pulizia delle acque inquinanti. Tuttavia, l’installazione di una copertura in un impianto di depurazione può comportare diversi rischi potenziali che richiedono una valutazione attenta e la messa in atto di adeguate misure di sicurezza. Questo saggio esplorerà i rischi comuni associati alla copertura di tali impianti e le considerazioni necessarie per mitigarli.

  1. Rischi legati alla ventilazione:
    Un aspetto critico da considerare durante l’installazione di una copertura è la ventilazione dell’impianto di depurazione. Poiché l’impianto genera gas e odori sgradevoli, la copertura potrebbe limitare la dispersione di tali sostanze. Di conseguenza, potrebbe verificarsi l’accumulo di gas nocivi all’interno dell’area coperta, aumentando il rischio per la salute degli operatori e del personale. È essenziale progettare e implementare un sistema di ventilazione efficace per garantire un flusso d’aria sufficiente e la rimozione dei gas nocivi.
  2. Rischio di esplosioni e incendi:
    All’interno dell’impianto di depurazione potrebbero essere presenti sostanze chimiche infiammabili o esplosive. Una copertura inadeguata potrebbe creare un ambiente confinato che favorisce la concentrazione di vapori e gas, aumentando il rischio di esplosioni o incendi in caso di fughe o malfunzionamenti. È necessario adottare misure di sicurezza come l’installazione di sensori di rilevamento dei gas, l’adozione di sistemi di spegnimento automatico degli incendi e l’impiego di materiali resistenti al fuoco.
  3. Accessibilità e manutenzione:
    La copertura completa dell’impianto può rendere più difficile l’accesso ai componenti per le attività di manutenzione e riparazione. Questo potrebbe rallentare la risoluzione dei guasti e compromettere l’efficienza dell’impianto. È importante progettare la copertura in modo da consentire un agevole accesso a tutti i punti critici, ad esempio attraverso l’installazione di porte di ispezione o la suddivisione in sezioni modulari. Inoltre, è fondamentale implementare un piano di manutenzione preventiva per identificare e affrontare tempestivamente eventuali problemi.
  4. Impatto ambientale:
    La copertura dell’impianto può influire sull’ambiente circostante. Ad esempio, potrebbe limitare la dispersione degli odori e dei gas, aumentando l’impatto negativo sulle comunità locali. Inoltre, è necessario considerare l’impatto sulla biodiversità locale e sulle condizioni microclimatiche. È consigliabile condurre uno studio di impatto ambientale per valutare gli effetti della copertura e adottare misure di mitigazione, come l’installazione di sistemi di filtraggio dell’aria o l’adozione di soluzioni paesaggistiche.

Conclusione:
La copertura di un impianto di depurazione delle acque reflue comporta diversi rischi che devono essere attentamente gestiti. La valutazione e la mitigazione dei rischi legati alla ventilazione, alle esplosioni, all’accessibilità e alla manutenzione, nonché all’impatto ambientale, sono fondamentali per garantire la sicurezza del personale, la protezione dell’ambiente e il corretto funzionamento dell’impianto. È indispensabile coinvolgere esperti nel settore dell’ingegneria ambientale e della sicurezza durante tutto il processo di copertura, al fine di identificare e affrontare adeguatamente i rischi specifici di ciascun impianto di depurazione delle acque reflue.


In Italia è obbligatorio coprire un impianto di Depurazione?

Attualmente, non esiste un’obbligatorietà generale a livello nazionale per la copertura degli impianti di depurazione delle acque in Italia. La gestione dei sistemi di depurazione delle acque è regolamentata principalmente dal Decreto Legislativo n. 152 del 2006, noto come “Codice dell’ambiente”, e dal Decreto Legislativo n. 31 del 2001, che indica le norme per il riutilizzo delle acque depurate.

Tuttavia, le normative in materia possono variare a livello regionale o comunale. Pertanto, potrebbe essere possibile che alcune regioni o comuni abbiano introdotto norme o regolamenti specifici che richiedono la copertura degli impianti di depurazione delle acque.

In una conferenza di servizi è possibile decidere se un impianto di depurazione delle acque necessita di una copertura?

Sì, durante una conferenza di servizi è possibile discutere e decidere se la copertura di un impianto di depurazione delle acque è necessaria. La conferenza di servizi è un procedimento amministrativo previsto dalla normativa italiana, disciplinato principalmente dal Decreto Legislativo n. 152 del 2006 (Codice dell’ambiente) e dal Decreto Legislativo n. 42 del 2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio).

La conferenza di servizi coinvolge diverse autorità competenti, come l’autorità idrica, l’autorità paesaggistica, l’autorità archeologica e altre entità coinvolte nella valutazione delle opere e dei progetti che possono avere un impatto sull’ambiente e sul territorio.

Durante la conferenza di servizi, le autorità competenti esaminano il progetto e valutano gli aspetti tecnici, ambientali, paesaggistici, archeologici e culturali. In base alle valutazioni effettuate, possono essere definite delle prescrizioni o condizioni che devono essere rispettate per ottenere l’autorizzazione all’opera.

Tra queste prescrizioni potrebbe essere inclusa la necessità di coprire l’impianto di depurazione delle acque al fine di minimizzare gli impatti ambientali, ridurre odori sgradevoli o preservare l’aspetto estetico del territorio circostante.

Tuttavia, è importante sottolineare che le decisioni prese durante una conferenza di servizi dipendono dal contesto specifico, dalle valutazioni delle autorità

Automatizzazione degli impianti di depurazione delle acque: opportunità ed eventuali rischi

L’automatizzazione degli impianti di depurazione delle acque può portare a numerosi vantaggi in termini di efficienza, precisione e riduzione dei costi operativi. Tuttavia, esistono anche alcuni rischi che devono essere presi in considerazione. Ecco alcuni dei rischi associati all’automatizzazione degli impianti di depurazione delle acque:

  1. Rischi tecnici: L’automatizzazione richiede l’utilizzo di sistemi e dispositivi complessi, come sensori, regolatori e sistemi di controllo. La presenza di guasti tecnici o malfunzionamenti di tali componenti potrebbe comportare un impatto negativo sul funzionamento dell’impianto e sulla qualità del trattamento delle acque reflue. Inoltre, la dipendenza da sistemi automatizzati potrebbe aumentare la vulnerabilità agli attacchi informatici o ai problemi di sicurezza informatica.
  2. Mancanza di supervisione umana: Con l’automatizzazione, il coinvolgimento diretto degli operatori può diminuire poiché le operazioni vengono gestite da sistemi automatizzati. Questa riduzione della supervisione umana potrebbe comportare un rischio di ritardo nella rilevazione di anomalie, guasti o situazioni di emergenza che richiedono un intervento tempestivo. La mancanza di interazione umana potrebbe anche portare a una minore capacità di adattamento a situazioni non standard o impreviste.
  3. Complessità del sistema: Gli impianti di depurazione automatizzati sono caratterizzati da una complessità tecnica maggiore rispetto ai sistemi tradizionali. Ciò comporta la necessità di competenze specializzate per la gestione, la manutenzione e la risoluzione dei problemi. L’assenza di personale qualificato potrebbe rendere difficile la gestione efficace del sistema automatizzato e la risoluzione dei problemi tecnici che potrebbero sorgere.
  4. Riduzione delle risorse umane: Le utilities possono tendere a sostituire le risorse umane con sistemi automatizzati per ragioni di efficienza e riduzione dei costi operativi. L’automatizzazione consente di ridurre la dipendenza dal lavoro umano, migliorare la produttività e ottimizzare l’utilizzo delle risorse. Tuttavia, questa sostituzione potrebbe portare alla perdita di posti di lavoro e avere un impatto sulle comunità locali dipendenti dall’occupazione nel settore delle utilities.

È importante sottolineare che l’automatizzazione degli impianti di depurazione delle acque offre notevoli vantaggi in termini di efficienza e precisione nel trattamento delle acque reflue. Tuttavia, è necessario un approccio equilibrato che consideri attentamente i rischi connessi e che assicuri la presenza di personale qualificato per supervisionare e gestire i sistemi automatizzati, nonché affrontare situazioni di emergenza o guasti tecnici.


Minimizzare l’impatto ambientale: l’importanza della copertura negli impianti di depurazione delle acque

La copertura degli impianti di depurazione delle acque può comportare costi significativi e presentare alcune sfide. È importante sottolineare che le autorità competenti e i progettisti degli impianti di depurazione devono tener conto dell’impatto ambientale generato dalla costruzione delle coperture.

Quando si progetta la copertura di un impianto di depurazione delle acque, vengono considerati diversi fattori per mitigare gli impatti ambientali. Alcuni aspetti da prendere in considerazione includono:

  1. Valutazione dell’impatto ambientale: Prima della costruzione della copertura, viene condotta un’adeguata valutazione dell’impatto ambientale (VIA) per identificare e valutare gli effetti potenziali sulla fauna, la flora, l’ecosistema circostante e la qualità dell’aria e dell’acqua. La VIA consente di individuare misure di mitigazione adeguate per minimizzare gli impatti negativi.
  2. Selezione dei materiali: Durante la progettazione della copertura, vengono scelti materiali sostenibili e a basso impatto ambientale. Si possono utilizzare materiali riciclati, materiali a bassa emissione di gas a effetto serra o materiali che richiedono una minore energia per la produzione. Questa scelta mira a ridurre l’impatto ambientale durante la fase di costruzione.
  3. Gestione dei rifiuti: Durante la costruzione della copertura, è fondamentale adottare adeguate pratiche di gestione dei rifiuti per ridurre l’impatto ambientale. Vengono implementate strategie per il riciclaggio dei materiali di scarto e per il corretto smaltimento dei rifiuti, riducendo l’inquinamento e il consumo di risorse naturali.
  4. Conservazione della flora e della fauna: Se l’impianto di depurazione è ubicato in un’area sensibile dal punto di vista ecologico, potrebbero essere necessarie misure di mitigazione aggiuntive per la conservazione della flora e della fauna. Ciò potrebbe includere la creazione di habitat alternativi per gli animali e la promozione della biodiversità nella zona circostante.
  5. Monitoraggio e manutenzione: Dopo la costruzione della copertura, è importante effettuare un monitoraggio regolare dell’impatto ambientale e garantire una corretta manutenzione. Ciò assicura che la copertura rimanga efficace nel prevenire la dispersione di odori e contaminanti nell’ambiente circostante.

È fondamentale che le autorità competenti e i progettisti lavorino in conformità con le leggi e le normative ambientali vigenti per garantire che l’impatto ambientale sia minimizzato durante la costruzione delle coperture degli impianti di depurazione delle acque. L’obiettivo finale è quello di raggiungere un equilibrio tra la necessità di proteggere l’ambiente e garantire un’efficace depurazione delle acque reflue.


I fattori che influenzano i costi elevati della copertura degli impianti di depurazione delle acque

Ci sono diversi fattori che possono contribuire ai costi significativi associati alla copertura di un impianto di depurazione delle acque. Alcuni dei principali motivi includono:

  1. Complessità del design: La copertura di un impianto di depurazione delle acque richiede un design sofisticato per garantire l’efficacia del processo di depurazione e prevenire la dispersione di odori e contaminanti nell’ambiente circostante. Questo può comportare l’utilizzo di tecnologie avanzate e complesse, che aumentano i costi di progettazione e di costruzione.
  2. Materiali specializzati: Le coperture degli impianti di depurazione richiedono l’uso di materiali specializzati che siano resistenti all’acqua, alle sostanze chimiche e agli agenti atmosferici. Questi materiali devono essere in grado di sopportare le condizioni ambientali aggressive e garantire la sicurezza e la durabilità della struttura. Tali materiali spesso hanno un costo più elevato rispetto ai materiali tradizionali.
  3. Normative e regolamenti: Gli impianti di depurazione delle acque devono rispettare rigorose normative e regolamenti in materia di sicurezza e impatto ambientale. Ciò può richiedere l’adozione di misure aggiuntive per garantire la conformità, come l’installazione di sistemi di controllo delle emissioni o l’implementazione di misure di mitigazione ambientale. Questi requisiti aggiuntivi possono aumentare i costi complessivi del progetto.
  4. Lavori di ingegneria civile: La copertura degli impianti di depurazione delle acque richiede spesso lavori di ingegneria civile significativi, come lo scavo del terreno, la costruzione di fondamenta solide e la realizzazione di strutture resistenti. Questi lavori possono richiedere attrezzature specializzate, manodopera qualificata e un’attenta pianificazione, che possono influire sui costi complessivi del progetto.
  5. Manutenzione e gestione: Oltre ai costi iniziali per la costruzione della copertura, è necessario considerare anche i costi di manutenzione e gestione nel lungo termine. La copertura richiede regolare manutenzione per garantire il suo corretto funzionamento nel tempo, inclusi controlli periodici, riparazioni e sostituzioni. Questi costi di manutenzione devono essere considerati nel calcolo complessivo dei costi.

In sintesi, i costi elevati per la copertura degli impianti di depurazione delle acque sono principalmente dovuti alla complessità del design, all’utilizzo di materiali specializzati, alle normative e regolamenti rigidi, ai lavori di ingegneria civile e ai costi di manutenzione e gestione nel lungo termine.


Considerazioni finali:

Sembra che ci sia una situazione di discrepanza tra le priorità riguardanti l’impianto di depurazione delle acque di Solofra. Da un lato, è stata richiesta la copertura dell’impianto, nonostante i costi elevati associati. Dall’altro lato, l’impianto stesso risulta carente nella sua funzione principale, ovvero la depurazione delle acque.

È importante considerare che ogni decisione presa dalle autorità competenti potrebbe essere basata su una serie di fattori specifici alla situazione. Tuttavia, è cruciale garantire che l’impianto sia in grado di svolgere adeguatamente il suo compito primario, ovvero depurare le acque, per garantire la sicurezza e la salute dell’ambiente circostante e della comunità.

Potrebbe essere necessario un equilibrio tra la copertura dell’impianto e l’implementazione delle misure necessarie per garantire la depurazione adeguata delle acque. È fondamentale che le autorità responsabili prendano in considerazione entrambi gli aspetti e agiscano di conseguenza per garantire il pieno rispetto delle normative ambientali e la tutela dell’ambiente e della popolazione.